A fronte di un ritmo che poteva toccare un arrivo al minuto, la puntualità dei treni era eccezionale. Il sistema dei trasporti non poteva permettersi inefficienze, soprattutto di mattina, con milioni di persone dirette a scuola e a lavoro.
Utilizzatissimi vagoni. Che, però, erano puliti come specchi.
Se, caso raro, uno dei treni programmati mancava, la folla al binario aumentava rapidamente, accalcandosi sulla piattaforma. A volte il ritardo era dovuto alla caduta di qualcuno sui binari, che poi era stato schiacciato dal treno. Sugli schermi della stazione appariva un composto di quattro kanji: jinshin jiko (incidente umano). Una pausa di cinque - dieci minuti, poi tutto riprendeva...
Dove porteranno i resti mi chiedevo. Chissà chi, tra il personale delle ferrovie, si occupa di liberare con tanta rapidità i binari. Avranno una forza lavoro già pronta, addestrata per risolvere la situazione in tempi brevissimi, pensavo.
L'ufficio della mia sede di lavoro apriva alle dieci, così potevo scansare la rasshu awā (rush hour), per cui ho in genere viaggiato su treni non obbligatoriamente affollatissimi. Qualche volta, però, mi è capitata la famigerata ora di punta. L'esperienza confermava il mito, diffuso anche in occidente, con le classiche immagini di folle sospinte da appositi spingitori dentro i vagoni. In piedi dentro un treno già affollato, pensavo che il numero di passeggeri avesse toccato il suo limite. Notavo, invece, le prime volte con stupore crescente, che la gente non si faceva intimorire. Continuava a entrare, creando una tale compressione tra corpi da non potersi più muovere.
Eppure ci si riusciva, grazie alla gestualità dei Tokyoti, abituati a questo genere di situazioni. Una combinazione in giusta misura di calma e cortesia che dava una sua fluidità di movimento a una notevole densità di corpi schiacciati. Per esempio, si entrava spingendo piano di spalle e mai frontalmente. Insomma, tutti facevano la loro parte e la cosa in genere funzionava.
La cortesia e misura nipponica, comunque, avevano, in certi casi, i loro lati oscuri. Pare fosse comune la presenza dei chikan, "pervertiti/maniaci" che si davano ai palpeggiamenti alle donne in treno. Non è un vizio solo italiano! La soluzione: i vagoni di alcune linee erano accessibili esclusivamente alle donne nella rasshu awā. Sulla linea dove viaggiavo io il primo anno, la Tōyoko, gli accessi alle carrozze dedicate erano già segnalati per terra sulle piattaforme dei binari.
Diversi stranieri, maschi, mi hanno raccontato di essere saliti, ignari, su questi vagoni, per poi trovarsi circondati da donne che li guardavano con disapprovazione.
- continua il 27.03.2015 -
(foto di Alessandra Corda)
Utilizzatissimi vagoni. Che, però, erano puliti come specchi.
Se, caso raro, uno dei treni programmati mancava, la folla al binario aumentava rapidamente, accalcandosi sulla piattaforma. A volte il ritardo era dovuto alla caduta di qualcuno sui binari, che poi era stato schiacciato dal treno. Sugli schermi della stazione appariva un composto di quattro kanji: jinshin jiko (incidente umano). Una pausa di cinque - dieci minuti, poi tutto riprendeva...
Dove porteranno i resti mi chiedevo. Chissà chi, tra il personale delle ferrovie, si occupa di liberare con tanta rapidità i binari. Avranno una forza lavoro già pronta, addestrata per risolvere la situazione in tempi brevissimi, pensavo.
L'ufficio della mia sede di lavoro apriva alle dieci, così potevo scansare la rasshu awā (rush hour), per cui ho in genere viaggiato su treni non obbligatoriamente affollatissimi. Qualche volta, però, mi è capitata la famigerata ora di punta. L'esperienza confermava il mito, diffuso anche in occidente, con le classiche immagini di folle sospinte da appositi spingitori dentro i vagoni. In piedi dentro un treno già affollato, pensavo che il numero di passeggeri avesse toccato il suo limite. Notavo, invece, le prime volte con stupore crescente, che la gente non si faceva intimorire. Continuava a entrare, creando una tale compressione tra corpi da non potersi più muovere.
Eppure ci si riusciva, grazie alla gestualità dei Tokyoti, abituati a questo genere di situazioni. Una combinazione in giusta misura di calma e cortesia che dava una sua fluidità di movimento a una notevole densità di corpi schiacciati. Per esempio, si entrava spingendo piano di spalle e mai frontalmente. Insomma, tutti facevano la loro parte e la cosa in genere funzionava.
La cortesia e misura nipponica, comunque, avevano, in certi casi, i loro lati oscuri. Pare fosse comune la presenza dei chikan, "pervertiti/maniaci" che si davano ai palpeggiamenti alle donne in treno. Non è un vizio solo italiano! La soluzione: i vagoni di alcune linee erano accessibili esclusivamente alle donne nella rasshu awā. Sulla linea dove viaggiavo io il primo anno, la Tōyoko, gli accessi alle carrozze dedicate erano già segnalati per terra sulle piattaforme dei binari.
Diversi stranieri, maschi, mi hanno raccontato di essere saliti, ignari, su questi vagoni, per poi trovarsi circondati da donne che li guardavano con disapprovazione.
- continua il 27.03.2015 -
(foto di Alessandra Corda)