La mia prima residenza tokyota, nel quartiere di Meguro, si trovava in uno spazio urbano invidiabile: occupavo una stanza di una piccola residenza a due piani, in una pacifica zona di villette. A pochi metri, un giardinetto pubblico. Nel mezzo di una delle aree metropolitane più estese e "dense" del mondo, tenere la finestra aperta nelle sere di settembre e sentire il canto dei grilli non è poco.
La seconda casa, nel quartiere di Bunkyō, era più centrale: dalla vicina stazione di Sendagi, in poco più di un quarto d'ora si arrivava a piedi al parco di Ueno. Visitato il monolocale, al primo piano di una palazzina di una decina di piani, decisi di trasferirmi. In un pomeriggio di fine estate, la stanza era illuminata dal sole e la via su cui si affacciava, Dangozaka (la "salita dei dango" - un dolce di riso a forma di pallina) appariva tranquilla. Effettuato il trasloco, scoprii, invece, che la strada era piuttosto trafficata, e, soprattutto, che avevo un semaforo a pochi metri dalla finestra. Di giorno non si notava, ma di notte illuminava di colori psichedelici le tendine con cui cercavo, senza riuscirci a pieno, di creare oscurità nella stanza e conciliare il sonno.
Lì ebbi modo di sperimentare l'efficienza dei lavori stradali tokyoti. Novembre 2009. Nella buca delle lettere apparve un foglietto, con una mappa in cui erano indicati i cantieri e l'andamento dei lavori giorno per giorno. Tutto bene. Mi sentii rasserenato dall'efficienza informativa e dalla capacità di pianificare la cadenza giornaliera di lavoro. Confesso di non avere letto con attenzione il foglietto, che probabilmente indicava un dettaglio importante: i lavori si sarebbero tenuti di notte.
Me ne accorsi all'apertura del cantiere, quando le ruspe cominciarono a spaccare il manto stradale e scavare proprio sotto la finestra. Mi pare che l'andirivieni non fosse cominciato prima delle undici di sera... Per concludersi a un'ora indefinita della notte, comunque prima dell'alba.
La mattina dopo, mi affaccio: nessuna traccia del cantiere. Un manto stradale nuovo di zecca, senza le buche, toppe e imperfezioni che caratterizzano i lavori stradali italiani. Lungo la salita, il quotidiano traffico di veicoli, come se niente fosse successo.
Nelle successive notti di cantiere avrei capito meglio l'organizzazione del lavoro: ogni notte il manto stradale veniva distrutto e i detriti portati via; gli operai lavoravano nella parte programmata di strada; poi il cantiere era ricoperto, la strada rifatta e resa agibile. Un prodigio di efficienza. Non ricordo intoppi alla routine (diurna) del quartiere.
Non fosse stato per una cosa che sembrava avere meno priorità di tutto il resto: il sonno dei residenti. La deprivazione da sonno è una situazione difficile da affrontare (chi ha un figlio piccolo che non dorme di notte lo sa...) e in quelle notti indirizzai riflessioni poco accademiche nei confronti di chi organizza un sistema di lavori di questo genere.
Come facevano i miei vicini a gestire la situazione? Tappi per le orecchie, paraocchi, sonniferi, trasloco temporaneo? Avrei dovuto informarmi, ma, colto di sorpresa, non seppi predisporre strategie difensive.
Non mancano, nella realtà tokyota, veri e propri assalti alle orecchie: la cacofonia metallica dei pachinko, il sovrapporsi assordante di messaggi dagli altoparlanti in certi grandi magazzini, l'incubo sonoro dei Donki (un giorno parlerò di questi negozi tutti particolari). Il che contrasta con l'assenza, in genere, di rumori vocali che possano dare fastidio (mai assistito a una litigata a voce alta nella via). Viene da pensare che la produzione di rumori sia ritenuta più accettabile per macchinari e mezzi elettronici che per le persone, alle quali sembrerebbe preclusa la possibilità di uno sfogo vocale. Quest'ultimo, peraltro, abbastanza ordinario in Italia.
Ma torniamo a Dangozaka. I lavori occuparono diverse nottate. Una decina, una dozzina, quindici? Ho rimosso. Fortunatamente non ogni notte, ma si andò avanti così alcune settimane. Infine, strada perfetta, asfalto lucente. Tornò la calma.
(foto di Alessandra Corda)
La seconda casa, nel quartiere di Bunkyō, era più centrale: dalla vicina stazione di Sendagi, in poco più di un quarto d'ora si arrivava a piedi al parco di Ueno. Visitato il monolocale, al primo piano di una palazzina di una decina di piani, decisi di trasferirmi. In un pomeriggio di fine estate, la stanza era illuminata dal sole e la via su cui si affacciava, Dangozaka (la "salita dei dango" - un dolce di riso a forma di pallina) appariva tranquilla. Effettuato il trasloco, scoprii, invece, che la strada era piuttosto trafficata, e, soprattutto, che avevo un semaforo a pochi metri dalla finestra. Di giorno non si notava, ma di notte illuminava di colori psichedelici le tendine con cui cercavo, senza riuscirci a pieno, di creare oscurità nella stanza e conciliare il sonno.
Lì ebbi modo di sperimentare l'efficienza dei lavori stradali tokyoti. Novembre 2009. Nella buca delle lettere apparve un foglietto, con una mappa in cui erano indicati i cantieri e l'andamento dei lavori giorno per giorno. Tutto bene. Mi sentii rasserenato dall'efficienza informativa e dalla capacità di pianificare la cadenza giornaliera di lavoro. Confesso di non avere letto con attenzione il foglietto, che probabilmente indicava un dettaglio importante: i lavori si sarebbero tenuti di notte.
Me ne accorsi all'apertura del cantiere, quando le ruspe cominciarono a spaccare il manto stradale e scavare proprio sotto la finestra. Mi pare che l'andirivieni non fosse cominciato prima delle undici di sera... Per concludersi a un'ora indefinita della notte, comunque prima dell'alba.
La mattina dopo, mi affaccio: nessuna traccia del cantiere. Un manto stradale nuovo di zecca, senza le buche, toppe e imperfezioni che caratterizzano i lavori stradali italiani. Lungo la salita, il quotidiano traffico di veicoli, come se niente fosse successo.
Nelle successive notti di cantiere avrei capito meglio l'organizzazione del lavoro: ogni notte il manto stradale veniva distrutto e i detriti portati via; gli operai lavoravano nella parte programmata di strada; poi il cantiere era ricoperto, la strada rifatta e resa agibile. Un prodigio di efficienza. Non ricordo intoppi alla routine (diurna) del quartiere.
Non fosse stato per una cosa che sembrava avere meno priorità di tutto il resto: il sonno dei residenti. La deprivazione da sonno è una situazione difficile da affrontare (chi ha un figlio piccolo che non dorme di notte lo sa...) e in quelle notti indirizzai riflessioni poco accademiche nei confronti di chi organizza un sistema di lavori di questo genere.
Come facevano i miei vicini a gestire la situazione? Tappi per le orecchie, paraocchi, sonniferi, trasloco temporaneo? Avrei dovuto informarmi, ma, colto di sorpresa, non seppi predisporre strategie difensive.
Non mancano, nella realtà tokyota, veri e propri assalti alle orecchie: la cacofonia metallica dei pachinko, il sovrapporsi assordante di messaggi dagli altoparlanti in certi grandi magazzini, l'incubo sonoro dei Donki (un giorno parlerò di questi negozi tutti particolari). Il che contrasta con l'assenza, in genere, di rumori vocali che possano dare fastidio (mai assistito a una litigata a voce alta nella via). Viene da pensare che la produzione di rumori sia ritenuta più accettabile per macchinari e mezzi elettronici che per le persone, alle quali sembrerebbe preclusa la possibilità di uno sfogo vocale. Quest'ultimo, peraltro, abbastanza ordinario in Italia.
Ma torniamo a Dangozaka. I lavori occuparono diverse nottate. Una decina, una dozzina, quindici? Ho rimosso. Fortunatamente non ogni notte, ma si andò avanti così alcune settimane. Infine, strada perfetta, asfalto lucente. Tornò la calma.
(foto di Alessandra Corda)