Inverno 2009. Eccomi al Bousingot Cafè, a sorseggiare un cognac. Non siamo a Parigi, ma in uno dei vari locali in stile nippo-europeo, spesso avvolti in un vago profumo inizio '900, che caratterizzano la zona di Yanaka, a due passi dalla metro di Sendagi.
Il padrone del caffè, Haketa-san, è evidente, ha messo su l'attività dei suoi sogni: un caffè letterario. Attorno a noi alcuni scaffali con un'ottima selezione di testi. È lui che, dopo qualche chiacchierata, sentendo del mio interesse per la letteratura giapponese d'inizio '900, mi porge una bella ristampa anastatica del classico Asakusa kurenai dan di Kawabata Yasunari, che ho tradotto nel 2007 per Einaudi, con il titolo La banda di Asakusa. Ristampa prontamente acquistata. Ed è sempre Haketa-san che, la volta successiva, mi mostra un'edizione originale anni '40 di un romanzo di Yokomitsu Riichi (1898-1947). Nonostante il mio interesse per quest'autore, stavolta non posso acquistare il volume. Mi siedo nuovamente al tavolino, a guardare dalla finestra il traffico notturno di Shinobazu Dōri.
Cosa meglio delle atmosfere nostalgiche di Yanaka e dei suoi locali per cominciare a parlare di Yokomitsu? Uno dei principali autori di letteratura d'avanguardia giapponese della prima metà del 900, è quasi sconosciuto in Italia, con qualche rara eccezione.
La prima volta che mi sono imbattuto in Yokomitsu è stato con la classica antologia Narratori giapponesi moderni della Bompiani, che conteneva uno dei suoi racconti più noti: "Haru wa basha ni notte", tradotto da Suga Atsuko come "La primavera arriva su una carrozza". All'epoca avevo sui sedici anni e quella breve storia non mi aveva colpito molto. Rileggendola qualche anno dopo, ne ho apprezzato l'intensità delicata.
"Stando accanto al letto della moglie egli guardava il moto lento della tartaruga nella vasca. Quando la tartaruga si mise a nuotare, i riflessi luminosi che si riverberarono dalla superficie dell'acqua luccicarono sui sassi asciutti.
- Sai una cosa: gli aghi di quei pini hanno preso una tale lucentezza ultimamente, - disse lei.
- Così stavi guardando i pini...
- Sì.
- Be', io stavo guardando la tartaruga. - E parve che dovessero richiudersi nel loro silenzio."
Il racconto, pubblicato nel 1926, descrive alcune scene di vita di coppia. La moglie è malata, nei suoi ultimi giorni di vita, e il marito le sta accanto. La storia è ispirata a quanto era successo a Yokomitsu con la prima moglie, Kimi, morta di malattia a venti anni. Sarebbe stato facile cadere nel patetico, invece Yokomitsu frena ogni sentimentalismo e mette in scena i dialoghi quotidiani dei due, tra armonia e polemica. L'autore è bravissimo a descrivere gli equilibri instabili delle relazioni di coppia.
"- Quando ti guardo mi sembri uno strano animale, - fece lui.
- Un animale! Son cose da dire? Vorrei ricordarti che sono la signora di questa casa.
- Certo che lo siete, mia cara padrona in gabbia. E vedo che avete sempre la vostra punta di cattiveria!
- No, sei tu ad averla, scaltro e spietato, sempre in cerca della maniera di lasciarmi.
- Questa è la tua teoria di prigioniera-in-gabbia."
I sentimenti del protagonista raramente sono descritti direttamente e, secondo una tecnica narrativa usatissima da Yokomitsu, sono resi attraverso le immagini sensoriali colte dall'ambiente. Un ambiente che oscilla, anche qui, tra la claustrofobia della stanza della moglie e la bellezza del paesaggio costiero fuori. È lo sguardo del protagonista, non le sue parole, a esprimere l'infinita tristezza del suo stato d'animo. La traduttrice, con delicatezza di tratto, rende bene questo frenarsi dei sentimenti, sempre oscillanti tra l'affetto e un'onestà a tratti brutale.
Dopo avere saputo dal dottore che la moglie morirà presto:
"Appena rientrato andò direttamente in camera sua. Cercò di pensare alla maniera di non vederla; scese in giardino e si sdraiò sull'erba. Si sentiva stremato dalla fatica; quando le lacrime cominciarono a sgorgargli dagli occhi, scoprì che stava tirando minuziosamente i fili d'erba secca del prato.
- Che cos'è la morte?
Significa soltanto sparire, pensò. Poi si ricompose e andò nella stanza di sua moglie."
Questo sarebbe stato il mio primo incontro con Yokomitsu. Con un racconto, come mi sarei reso conto in seguito, che conteneva diversi tratti distintivi dell'autore. In quegli anni Yokomitsu era pienamente impegnato nelle sperimentazioni del gruppo d'avanguardia dei Neo-percezionisti (la Shinkankakuha) e "La primavera" è tra le sue opere più note di quel periodo, forse una delle più riuscite e bilanciate.
NOTA: le citazioni del racconto sono prese dalla traduzione di Suga Atsuko.
(continua)
Il padrone del caffè, Haketa-san, è evidente, ha messo su l'attività dei suoi sogni: un caffè letterario. Attorno a noi alcuni scaffali con un'ottima selezione di testi. È lui che, dopo qualche chiacchierata, sentendo del mio interesse per la letteratura giapponese d'inizio '900, mi porge una bella ristampa anastatica del classico Asakusa kurenai dan di Kawabata Yasunari, che ho tradotto nel 2007 per Einaudi, con il titolo La banda di Asakusa. Ristampa prontamente acquistata. Ed è sempre Haketa-san che, la volta successiva, mi mostra un'edizione originale anni '40 di un romanzo di Yokomitsu Riichi (1898-1947). Nonostante il mio interesse per quest'autore, stavolta non posso acquistare il volume. Mi siedo nuovamente al tavolino, a guardare dalla finestra il traffico notturno di Shinobazu Dōri.
Cosa meglio delle atmosfere nostalgiche di Yanaka e dei suoi locali per cominciare a parlare di Yokomitsu? Uno dei principali autori di letteratura d'avanguardia giapponese della prima metà del 900, è quasi sconosciuto in Italia, con qualche rara eccezione.
La prima volta che mi sono imbattuto in Yokomitsu è stato con la classica antologia Narratori giapponesi moderni della Bompiani, che conteneva uno dei suoi racconti più noti: "Haru wa basha ni notte", tradotto da Suga Atsuko come "La primavera arriva su una carrozza". All'epoca avevo sui sedici anni e quella breve storia non mi aveva colpito molto. Rileggendola qualche anno dopo, ne ho apprezzato l'intensità delicata.
"Stando accanto al letto della moglie egli guardava il moto lento della tartaruga nella vasca. Quando la tartaruga si mise a nuotare, i riflessi luminosi che si riverberarono dalla superficie dell'acqua luccicarono sui sassi asciutti.
- Sai una cosa: gli aghi di quei pini hanno preso una tale lucentezza ultimamente, - disse lei.
- Così stavi guardando i pini...
- Sì.
- Be', io stavo guardando la tartaruga. - E parve che dovessero richiudersi nel loro silenzio."
Il racconto, pubblicato nel 1926, descrive alcune scene di vita di coppia. La moglie è malata, nei suoi ultimi giorni di vita, e il marito le sta accanto. La storia è ispirata a quanto era successo a Yokomitsu con la prima moglie, Kimi, morta di malattia a venti anni. Sarebbe stato facile cadere nel patetico, invece Yokomitsu frena ogni sentimentalismo e mette in scena i dialoghi quotidiani dei due, tra armonia e polemica. L'autore è bravissimo a descrivere gli equilibri instabili delle relazioni di coppia.
"- Quando ti guardo mi sembri uno strano animale, - fece lui.
- Un animale! Son cose da dire? Vorrei ricordarti che sono la signora di questa casa.
- Certo che lo siete, mia cara padrona in gabbia. E vedo che avete sempre la vostra punta di cattiveria!
- No, sei tu ad averla, scaltro e spietato, sempre in cerca della maniera di lasciarmi.
- Questa è la tua teoria di prigioniera-in-gabbia."
I sentimenti del protagonista raramente sono descritti direttamente e, secondo una tecnica narrativa usatissima da Yokomitsu, sono resi attraverso le immagini sensoriali colte dall'ambiente. Un ambiente che oscilla, anche qui, tra la claustrofobia della stanza della moglie e la bellezza del paesaggio costiero fuori. È lo sguardo del protagonista, non le sue parole, a esprimere l'infinita tristezza del suo stato d'animo. La traduttrice, con delicatezza di tratto, rende bene questo frenarsi dei sentimenti, sempre oscillanti tra l'affetto e un'onestà a tratti brutale.
Dopo avere saputo dal dottore che la moglie morirà presto:
"Appena rientrato andò direttamente in camera sua. Cercò di pensare alla maniera di non vederla; scese in giardino e si sdraiò sull'erba. Si sentiva stremato dalla fatica; quando le lacrime cominciarono a sgorgargli dagli occhi, scoprì che stava tirando minuziosamente i fili d'erba secca del prato.
- Che cos'è la morte?
Significa soltanto sparire, pensò. Poi si ricompose e andò nella stanza di sua moglie."
Questo sarebbe stato il mio primo incontro con Yokomitsu. Con un racconto, come mi sarei reso conto in seguito, che conteneva diversi tratti distintivi dell'autore. In quegli anni Yokomitsu era pienamente impegnato nelle sperimentazioni del gruppo d'avanguardia dei Neo-percezionisti (la Shinkankakuha) e "La primavera" è tra le sue opere più note di quel periodo, forse una delle più riuscite e bilanciate.
NOTA: le citazioni del racconto sono prese dalla traduzione di Suga Atsuko.
(continua)