Novembre 2008. Arrivarono in vacanza a Tōkyō due vecchi amici dalla Sardegna, Elena e Walter. Organizzammo un'escursione da due notti, fuori città nelle vicinanze di Nikkō, importante sito storico. La mia collega Michela mi suggerì un albergo non lontano, nella cittadina di Kinugawa Onsen. L'albergo era accogliente, con prezzi ragionevoli e il paese, come suggerisce il nome, era noto per le sue acque termali (onsen), quindi con il nostro viaggio avremmo preso due piccioni con una fava: terme e storia.
Partimmo dalla stazione di Asakusa e viaggiammo nel buio precoce di un pomeriggio novembrino. Dopo un paio d'ore, arrivammo al paese. Nelle poche centinaia di metri che separavano la stazione dall'albergo, saltavano subito all'occhio due particolari: i vapori che uscivano da diverse grate e condutture in terra, a indicare una fervente attività sotterranea; la presenza frequente, poi, di vari disegni raffiguranti demoni e diavoletti, immagini collegate al nome Kinugawa, cioè "fiume dei demoni arrabbiati". Le figure di quei demoni (oni), forse per la distanza culturale, suscitavano in me un'impressione meno "demoniaca" e temibile delle gerarchie sataniche cristiane. Come spesso succede nell'arte popolare e pop giapponese, queste figure, anche le più truci, venivano riproposte per il paese nella forma del kawaii, il grazioso cui ho già accennato (vedi post del 19.02.2015).
Breve digressione in tema di demoni: il 3 febbraio, giorno d'inizio della primavera nel calendario tradizionale, è detto setsubun. I bambini giapponesi gettano fagioli di soia fuori di casa come gesto di buon augurio, al grido di "Oni wa soto, fuku wa uchi" (fuori i demoni, dentro la fortuna). Quel giorno ero a lavoro, così mi persi lo spettacolo dei bambini del vicinato. Al ritorno la sera, però, trovai i mucchietti scuri di fagioli sparsi per la via.
Torniamo a Kinugawa Onsen. Salendo la via dell'albergo, appena oltre i palazzi a sinistra, il paesaggio sprofondava in una gola, in cui scorreva un fiume, il Kinugawa appunto. L'albergo era costruito, insieme a parecchi edifici, a ridosso, anzi, direttamente sul costone della gola, chiudendo il paesaggio alla vista. Una soluzione edilizia e urbanistica che susciterebbe l'invidia di certi imprenditori edili nostrani, riottosi alla tutela del paesaggio...
Arrivammo all'ingresso dell'albergo, dove trovammo ad accoglierci, come d'uso in parecchie attività commerciali in Giappone, la scultura, alta sì e no un metro, di un sorridente tanuki (procione giapponese), in piedi con cappello di paglia. Queste sculture sono spesso dotate di testicoli di notevoli dimensioni. Attributi ben vistosi all'albergo di Kinugawa Onsen, mentre spesso a Tōkyō le statue erano asessuate.
Entrati in albergo, ci presentammo alla reception, dove non ci furono chiesti documenti. Anche questa, una differenza interessante con l'Italia. La nostra stanza era arredata in modo tradizionale, con pavimento a tatami in paglia pressata. Ci mettemmo comodi con gli yukata (abito informale che potrebbe richiamare le nostre vestaglie) forniti dall'albergo, poi Walter ed io ci dirigemmo al bagno. Sarà stato il periodo, ma l'edificio, che era anche piuttosto grande, appariva spopolato. Il bagno aveva anche il rotenburo, cioè la vasca a cielo aperto. Uscimmo al buio nell'aria frizzante di novembre e ci immergemmo nell'acqua calda. La piccola vasca si affacciava dritta sullo strapiombo della gola. S’intravedeva nel buio la forma del fiume in fondo.
A cena ci presentammo in sala pranzo, un grande salone a piano terra tutto tatami, dove trovammo il pasto predisposto per noi, con il mio nome su un cartellino. Capita spesso che il mio cognome, anche in Italia, venga storpiato, ma questa volta fu il nome di battesimo a essere modificato, come risultato della mia prenotazione telefonica da Tōkyō. Ero diventato "cosnanton".
- CONTINUA IL 25.09.2015 -
(foto di Walter Ponsano)
Partimmo dalla stazione di Asakusa e viaggiammo nel buio precoce di un pomeriggio novembrino. Dopo un paio d'ore, arrivammo al paese. Nelle poche centinaia di metri che separavano la stazione dall'albergo, saltavano subito all'occhio due particolari: i vapori che uscivano da diverse grate e condutture in terra, a indicare una fervente attività sotterranea; la presenza frequente, poi, di vari disegni raffiguranti demoni e diavoletti, immagini collegate al nome Kinugawa, cioè "fiume dei demoni arrabbiati". Le figure di quei demoni (oni), forse per la distanza culturale, suscitavano in me un'impressione meno "demoniaca" e temibile delle gerarchie sataniche cristiane. Come spesso succede nell'arte popolare e pop giapponese, queste figure, anche le più truci, venivano riproposte per il paese nella forma del kawaii, il grazioso cui ho già accennato (vedi post del 19.02.2015).
Breve digressione in tema di demoni: il 3 febbraio, giorno d'inizio della primavera nel calendario tradizionale, è detto setsubun. I bambini giapponesi gettano fagioli di soia fuori di casa come gesto di buon augurio, al grido di "Oni wa soto, fuku wa uchi" (fuori i demoni, dentro la fortuna). Quel giorno ero a lavoro, così mi persi lo spettacolo dei bambini del vicinato. Al ritorno la sera, però, trovai i mucchietti scuri di fagioli sparsi per la via.
Torniamo a Kinugawa Onsen. Salendo la via dell'albergo, appena oltre i palazzi a sinistra, il paesaggio sprofondava in una gola, in cui scorreva un fiume, il Kinugawa appunto. L'albergo era costruito, insieme a parecchi edifici, a ridosso, anzi, direttamente sul costone della gola, chiudendo il paesaggio alla vista. Una soluzione edilizia e urbanistica che susciterebbe l'invidia di certi imprenditori edili nostrani, riottosi alla tutela del paesaggio...
Arrivammo all'ingresso dell'albergo, dove trovammo ad accoglierci, come d'uso in parecchie attività commerciali in Giappone, la scultura, alta sì e no un metro, di un sorridente tanuki (procione giapponese), in piedi con cappello di paglia. Queste sculture sono spesso dotate di testicoli di notevoli dimensioni. Attributi ben vistosi all'albergo di Kinugawa Onsen, mentre spesso a Tōkyō le statue erano asessuate.
Entrati in albergo, ci presentammo alla reception, dove non ci furono chiesti documenti. Anche questa, una differenza interessante con l'Italia. La nostra stanza era arredata in modo tradizionale, con pavimento a tatami in paglia pressata. Ci mettemmo comodi con gli yukata (abito informale che potrebbe richiamare le nostre vestaglie) forniti dall'albergo, poi Walter ed io ci dirigemmo al bagno. Sarà stato il periodo, ma l'edificio, che era anche piuttosto grande, appariva spopolato. Il bagno aveva anche il rotenburo, cioè la vasca a cielo aperto. Uscimmo al buio nell'aria frizzante di novembre e ci immergemmo nell'acqua calda. La piccola vasca si affacciava dritta sullo strapiombo della gola. S’intravedeva nel buio la forma del fiume in fondo.
A cena ci presentammo in sala pranzo, un grande salone a piano terra tutto tatami, dove trovammo il pasto predisposto per noi, con il mio nome su un cartellino. Capita spesso che il mio cognome, anche in Italia, venga storpiato, ma questa volta fu il nome di battesimo a essere modificato, come risultato della mia prenotazione telefonica da Tōkyō. Ero diventato "cosnanton".
- CONTINUA IL 25.09.2015 -
(foto di Walter Ponsano)