Visita al Sumida, il fiume principale di Tōkyō. Un pomeriggio invernale, forse dicembre 2008, nelle settimane precedenti natale. In giro con un amico della guesthouse dove ho trascorso un anno. Martin, tedesco, era il compagno di camminate ideale: amava esplorare la città, camminare e osservare, anche nei posti più impensati e senza mete definite.
Quel pomeriggio ci siamo diretti al fiume. Appena usciti dalla stazione della metro, siamo andati in visita a un tempio shintō, il Suitengū, molto visitato dai neogenitori, che portano lì il piccolo per un rituale di buon augurio. Abbiamo trovato, infatti, numerose coppie con pargolo, in fila per sottoporsi a una benedizione, o per toccare una statua di mamma cane con i cuccioli, lucida per gli strofinamenti dei fedeli.
Continuando lungo la via accanto al tempio, ci è apparso il Sumida. Il fiume di molte capitali è spesso famoso come la città che lo ospita; passeggiare sulle sue rive può essere un'esperienza piacevole, con palazzi, antichi e moderni, disposti in modo da valorizzare la vista sul fiume. E locali, giardini, edicole e gazebo, magari piste ciclabili e pedonali. Non è esattamente così per Tōkyō. La città, che fino a pochi decenni fa aveva i suoi centri più vitali e popolari, come Asakusa, addossati alle rive del Sumida, ora ha sviluppato le sue aree di aggregazione più note (Shibuya, Shinjuku, Ikebukuro, ecc.) in zone più lontane.
Nei tratti che ho visitato, il Sumida, fiume più ampio e potenzialmente maestoso del Tevere o del Tamigi, appare in gran parte circondato da palazzi anonimi; le sue rive sono due colate di cemento. Eppure è ricco di storia e suggestioni.
Prima di iniziare a risalire un tratto del Sumida, proviamo a raggiungere la cima di un edificio, una decina di piani, che si affaccia sul fiume, accanto al ponte. È una piccola passione di Martin: gli piace salire sui palazzi; e Tōkyō è una città che permette spesso agli estranei di farlo: ingressi aperti al pubblico, magari con l'ultimo piano attrezzato di ristoranti, trattorie e negozi, come nel caso di tanti edifici spettacolari della zona nuova di Shinjuku ovest. Con questo edificio, invece, ci va male e dobbiamo rinunciare.
Cominciamo a risalire il Sumida camminando lungo le passeggiate sotto gli argini di cemento. Da un lato e dall'altro, edifici grigi. Qui s’intuisce bene come chi aveva il potere e i mezzi economici (politici, urbanisti, grandi imprenditori ecc.) ha pensato la città contemporanea, ricostruita quasi integralmente a partire dal dopoguerra: in funzione di esigenze pratiche e affaristiche, con un sistema di trasporti sicuramente funzionale, ma con poco interesse per l'estetica, come si nota dalle strade sopraelevate che costeggiano a tratti le rive del Sumida.
Si vede anche, però, come su questa distesa di cemento i milioni di tokyoti, i pensionati, le associazioni di quartiere, i sacerdoti dei templi o chissà chi altro, in sostanza la cosiddetta società civile, abbiano cercato di piantare alberelli, creare sentieri, installare aiuole fiorite, posizionare cartelli informativi... mille piccoli accorgimenti e abbellimenti, frequenti a Tōkyō, che rendono la città più umana e vivibile. Un dato fondamentale: il segno della cura. Il tentativo costante e pervicace dei cittadini di migliorare la loro città.
La visione d'insieme resta, agli occhi di un europeo sensibile al paesaggio, spesso desolante, quasi a dimostrare che il piccolo sforzo quotidiano di milioni di persone non basta a fare la differenza rispetto all'impianto mastodontico delle cose. Però, grazie alla tenacia del cittadino e, credo, delle amministrazioni, tutto è più vivibile, pulito e gradevole di certe nostre periferie, sporche e squallide, che davvero appaiono abbandonate al loro destino.
(continua)
(foto di Alessandra Corda)
Quel pomeriggio ci siamo diretti al fiume. Appena usciti dalla stazione della metro, siamo andati in visita a un tempio shintō, il Suitengū, molto visitato dai neogenitori, che portano lì il piccolo per un rituale di buon augurio. Abbiamo trovato, infatti, numerose coppie con pargolo, in fila per sottoporsi a una benedizione, o per toccare una statua di mamma cane con i cuccioli, lucida per gli strofinamenti dei fedeli.
Continuando lungo la via accanto al tempio, ci è apparso il Sumida. Il fiume di molte capitali è spesso famoso come la città che lo ospita; passeggiare sulle sue rive può essere un'esperienza piacevole, con palazzi, antichi e moderni, disposti in modo da valorizzare la vista sul fiume. E locali, giardini, edicole e gazebo, magari piste ciclabili e pedonali. Non è esattamente così per Tōkyō. La città, che fino a pochi decenni fa aveva i suoi centri più vitali e popolari, come Asakusa, addossati alle rive del Sumida, ora ha sviluppato le sue aree di aggregazione più note (Shibuya, Shinjuku, Ikebukuro, ecc.) in zone più lontane.
Nei tratti che ho visitato, il Sumida, fiume più ampio e potenzialmente maestoso del Tevere o del Tamigi, appare in gran parte circondato da palazzi anonimi; le sue rive sono due colate di cemento. Eppure è ricco di storia e suggestioni.
Prima di iniziare a risalire un tratto del Sumida, proviamo a raggiungere la cima di un edificio, una decina di piani, che si affaccia sul fiume, accanto al ponte. È una piccola passione di Martin: gli piace salire sui palazzi; e Tōkyō è una città che permette spesso agli estranei di farlo: ingressi aperti al pubblico, magari con l'ultimo piano attrezzato di ristoranti, trattorie e negozi, come nel caso di tanti edifici spettacolari della zona nuova di Shinjuku ovest. Con questo edificio, invece, ci va male e dobbiamo rinunciare.
Cominciamo a risalire il Sumida camminando lungo le passeggiate sotto gli argini di cemento. Da un lato e dall'altro, edifici grigi. Qui s’intuisce bene come chi aveva il potere e i mezzi economici (politici, urbanisti, grandi imprenditori ecc.) ha pensato la città contemporanea, ricostruita quasi integralmente a partire dal dopoguerra: in funzione di esigenze pratiche e affaristiche, con un sistema di trasporti sicuramente funzionale, ma con poco interesse per l'estetica, come si nota dalle strade sopraelevate che costeggiano a tratti le rive del Sumida.
Si vede anche, però, come su questa distesa di cemento i milioni di tokyoti, i pensionati, le associazioni di quartiere, i sacerdoti dei templi o chissà chi altro, in sostanza la cosiddetta società civile, abbiano cercato di piantare alberelli, creare sentieri, installare aiuole fiorite, posizionare cartelli informativi... mille piccoli accorgimenti e abbellimenti, frequenti a Tōkyō, che rendono la città più umana e vivibile. Un dato fondamentale: il segno della cura. Il tentativo costante e pervicace dei cittadini di migliorare la loro città.
La visione d'insieme resta, agli occhi di un europeo sensibile al paesaggio, spesso desolante, quasi a dimostrare che il piccolo sforzo quotidiano di milioni di persone non basta a fare la differenza rispetto all'impianto mastodontico delle cose. Però, grazie alla tenacia del cittadino e, credo, delle amministrazioni, tutto è più vivibile, pulito e gradevole di certe nostre periferie, sporche e squallide, che davvero appaiono abbandonate al loro destino.
(continua)
(foto di Alessandra Corda)