Mi pare fosse l'estate 2009. Stavo passeggiando per Akihabara, un paradiso di tecnologia, manga e anime, molto noto anche tra stranieri. Ripenso a Luca, che sfoggiava a lavoro una maglietta con la scritta "I love Akiba". Mi raccontava che durante la sua prima visita al posto avrebbe voluto abbracciare tutti: lì vedeva realizzarsi il suo sogno d'appassionato di videogiochi e fumetti nipponici!
A me, invece, a prima vista apparvero due file di palazzoni grigi. Che, però, serbavano al loro interno piani e piani di negozi audio video e affini (in genere rumorosissimi), oltre a vari locali e localini di tendenza. Capitammo vicino a un palazzo, circondato da individui vestiti come personaggi di anime e manga. Era un raduno di kosu-pure (abbreviazione dall'inglese costume play), dove gli appassionati si riuniscono per sfoggiare la tenuta dei loro personaggi preferiti. I partecipanti si trovavano all'interno della zona, recintata da fettucce. Non era possibile avere accesso se non, credo, pagando un biglietto. Ci accontentammo di osservare lo spettacolo dalle transenne.
A proposito di moda, la prima volta che ero stato in Giappone, nel luglio del 2000, ero rimasto sorpreso da gruppi di ragazze e ragazzi che sfoggiavano abbronzature estreme e capelli ossigenati. Le donne avevano trucco pesantissimo su occhi e labbra, di colori oro e argento; indossavano abiti estivi succinti e sandali con zeppe vertiginose; l'equivalente maschile aveva bermuda e magliette da spiaggia. Le ragazze, mi fu detto, si chiamavano Yamanba, qualcosa come "streghe di montagna", che pare sia una figura del folklore giapponese.
Sempre nel 2000, notai anche un paio di ragazze vestite da infermiere primo Novecento. Parlando con un amico, lui collegò la cosa a un video musicale di quei giorni, in cui una rockstar vestita da infermiera si dimenava spaccando tutto.
Ne vedevo in zona di Harajuku, soprattutto a Takeshita Dōri, una viuzza affollatissima, molto famosa come punto di riferimento per le ultime tendenze di moda giovanile. Ricordo che allora mi parve tutto molto animato e colorato. Si trattava, come in diverse zone lungo le stazioni ovest della linea Yamanote, di una tempesta sensoriale, tra mille persone, negozi e colori e, soprattutto, i rumori degli altoparlanti, che spesso si mescolavano in un tutto caotico.
Mi colpiva l'assenza di posti per sedersi in strada. I ragazzi si accoccolavano dove gli riusciva, per esempio sulle ringhiere basse che delimitavano alberi e aiuole. A Tōkyō pare poco diffusa l'idea italiana della piazza, cioè di uno spazio pubblico d'incontro e socializzazione. Tendenzialmente ci s'incontra nei locali. Le vie d'incontro giovanile, come quelle di Shibuya e Harajuku, quindi, non sono attrezzate per l'incontro e i ragazzi si arrangiano come possono.
Ricordo che, continuando a scendere oltre Takeshita Dōri, io e la mia fidanzata di allora fummo incuriositi da un minuscolo ingresso. Non ricordo bene cosa ci aveva colpito, forse le scarpe degli avventori lasciate fuori. Entrammo. Tra ingresso e locale, un laghetto in miniatura. Una gelateria, con tatami e tavolini bassi. Dentro, solo ragazze, amiche che chiacchieravano tranquille. Ci sedemmo anche noi e gustammo un kakigōri, una granita alla giapponese, al riparo dall'afa.
E potemmo godere di alcuni minuti di bellezza, serenità e pace, mentre fuori imperversavano struscio e shopping. O forse sono io che nei ricordi enfatizzo il piacere di quel momento. Comunque sia, anni dopo non sono riuscito a ritrovare quella piccola gelateria.
(foto di Alessandra Corda)
A me, invece, a prima vista apparvero due file di palazzoni grigi. Che, però, serbavano al loro interno piani e piani di negozi audio video e affini (in genere rumorosissimi), oltre a vari locali e localini di tendenza. Capitammo vicino a un palazzo, circondato da individui vestiti come personaggi di anime e manga. Era un raduno di kosu-pure (abbreviazione dall'inglese costume play), dove gli appassionati si riuniscono per sfoggiare la tenuta dei loro personaggi preferiti. I partecipanti si trovavano all'interno della zona, recintata da fettucce. Non era possibile avere accesso se non, credo, pagando un biglietto. Ci accontentammo di osservare lo spettacolo dalle transenne.
A proposito di moda, la prima volta che ero stato in Giappone, nel luglio del 2000, ero rimasto sorpreso da gruppi di ragazze e ragazzi che sfoggiavano abbronzature estreme e capelli ossigenati. Le donne avevano trucco pesantissimo su occhi e labbra, di colori oro e argento; indossavano abiti estivi succinti e sandali con zeppe vertiginose; l'equivalente maschile aveva bermuda e magliette da spiaggia. Le ragazze, mi fu detto, si chiamavano Yamanba, qualcosa come "streghe di montagna", che pare sia una figura del folklore giapponese.
Sempre nel 2000, notai anche un paio di ragazze vestite da infermiere primo Novecento. Parlando con un amico, lui collegò la cosa a un video musicale di quei giorni, in cui una rockstar vestita da infermiera si dimenava spaccando tutto.
Ne vedevo in zona di Harajuku, soprattutto a Takeshita Dōri, una viuzza affollatissima, molto famosa come punto di riferimento per le ultime tendenze di moda giovanile. Ricordo che allora mi parve tutto molto animato e colorato. Si trattava, come in diverse zone lungo le stazioni ovest della linea Yamanote, di una tempesta sensoriale, tra mille persone, negozi e colori e, soprattutto, i rumori degli altoparlanti, che spesso si mescolavano in un tutto caotico.
Mi colpiva l'assenza di posti per sedersi in strada. I ragazzi si accoccolavano dove gli riusciva, per esempio sulle ringhiere basse che delimitavano alberi e aiuole. A Tōkyō pare poco diffusa l'idea italiana della piazza, cioè di uno spazio pubblico d'incontro e socializzazione. Tendenzialmente ci s'incontra nei locali. Le vie d'incontro giovanile, come quelle di Shibuya e Harajuku, quindi, non sono attrezzate per l'incontro e i ragazzi si arrangiano come possono.
Ricordo che, continuando a scendere oltre Takeshita Dōri, io e la mia fidanzata di allora fummo incuriositi da un minuscolo ingresso. Non ricordo bene cosa ci aveva colpito, forse le scarpe degli avventori lasciate fuori. Entrammo. Tra ingresso e locale, un laghetto in miniatura. Una gelateria, con tatami e tavolini bassi. Dentro, solo ragazze, amiche che chiacchieravano tranquille. Ci sedemmo anche noi e gustammo un kakigōri, una granita alla giapponese, al riparo dall'afa.
E potemmo godere di alcuni minuti di bellezza, serenità e pace, mentre fuori imperversavano struscio e shopping. O forse sono io che nei ricordi enfatizzo il piacere di quel momento. Comunque sia, anni dopo non sono riuscito a ritrovare quella piccola gelateria.
(foto di Alessandra Corda)