Jidōhanbaiki... Significa letteralmente "macchina per la vendita automatica". In sostanza, il classico distributore automatico. Vediamo meglio, però, cosa offre in Giappone.
La maggioranza vende bibite, un vero e proprio universo di bevande. Tè, per cominciare, in bottiglia di plastica, caldo e freddo, nero e verde (uroncha, sencha e altre varietà locali); caffè (in lattina), anche qui nelle varie opzioni, caldo, freddo, col latte.
Per il caffè spicca la marca BOSS: la mia prima volta in Giappone (estate 2000) sfoggiava come logo un volto stilizzato, baffi e pipa, che ricordava il commissario Maigret di Gino Cervi; nel 2008, colsi un lavoro di restyling radicale: foto di un nerboruto sessantenne in giacca e cravatta con aria vissuta, che dava l'idea di essere più che altro un capo yakuza. Ora ho scoperto che si tratta dell'attore Tommie Lee Jones.
Disponibili anche succhi di frutta, bibite gassate e bevande energizzanti a noi ignote. Dopo una prima esitazione, mi sono dato con una certa voluttà al Dekavita C. Bottiglietta di vetro marrone scuro, etichetta giallo-rossa: il design di certi nostri sciroppi per la tosse. Il gusto della bevanda, in effetti, oscillava tra il frizzantino e lo sciropposo. Un qualche potere corroborante doveva averlo se sono tornato a berlo.
Jidōhanbaiki. Salvezza del viandante, che vagando per le città, magari nell'afa agostana, può in qualunque momento ristorarsi con poca spesa a uno di questi pratici apparecchi. Onnipresenti.
Durante un'escursione con amici alla cittadina storica di Kamakura, passeggiavamo per un sentiero di campagna. Portava da Kita-Kamakura, passando per i colli, fino alla grande statua del Buddha, una delle principali attrazioni della città. Giunti in cima alla collina, ci siamo trovati in una radura. Sembrava di essere, come dicono gli inglesi, in the middle of nowhere. Un nowhere, però, con punto di ristoro e gatti affettuosi a darci il benvenuto. Tra gli alberi eccolo, immancabile: il nostro jidōhanbaiki.
Nelle vicinanze, un tempio shintō, il Kuzuharagaoka Jinja. All'inizio del viale d'accesso, uno spazio recintato di pochi metri quadri, che ospitava alcune rocce antiche. Frammenti di ceramica in terra. A portata di mano una pila di piattini, con un cartello che incoraggiava a servirsene per romperli contro le rocce. Gesto che avrebbe scacciato gli spiriti maligni.
Dopo rottura di piattini e visita al tempio, riprendiamo la via. Prima di lasciare la radura, guardo l'orizzonte e lì mi appare: stagliato in un cielo limpidissimo, galleggiando sulla foschia, il cono perfetto del monte Fuji in lontananza. Una visione di tale purezza e perfezione da sembrare finta, un miraggio. Non sorprende che sia oggetto di adorazione.
(foto di Alessandra Corda)
La maggioranza vende bibite, un vero e proprio universo di bevande. Tè, per cominciare, in bottiglia di plastica, caldo e freddo, nero e verde (uroncha, sencha e altre varietà locali); caffè (in lattina), anche qui nelle varie opzioni, caldo, freddo, col latte.
Per il caffè spicca la marca BOSS: la mia prima volta in Giappone (estate 2000) sfoggiava come logo un volto stilizzato, baffi e pipa, che ricordava il commissario Maigret di Gino Cervi; nel 2008, colsi un lavoro di restyling radicale: foto di un nerboruto sessantenne in giacca e cravatta con aria vissuta, che dava l'idea di essere più che altro un capo yakuza. Ora ho scoperto che si tratta dell'attore Tommie Lee Jones.
Disponibili anche succhi di frutta, bibite gassate e bevande energizzanti a noi ignote. Dopo una prima esitazione, mi sono dato con una certa voluttà al Dekavita C. Bottiglietta di vetro marrone scuro, etichetta giallo-rossa: il design di certi nostri sciroppi per la tosse. Il gusto della bevanda, in effetti, oscillava tra il frizzantino e lo sciropposo. Un qualche potere corroborante doveva averlo se sono tornato a berlo.
Jidōhanbaiki. Salvezza del viandante, che vagando per le città, magari nell'afa agostana, può in qualunque momento ristorarsi con poca spesa a uno di questi pratici apparecchi. Onnipresenti.
Durante un'escursione con amici alla cittadina storica di Kamakura, passeggiavamo per un sentiero di campagna. Portava da Kita-Kamakura, passando per i colli, fino alla grande statua del Buddha, una delle principali attrazioni della città. Giunti in cima alla collina, ci siamo trovati in una radura. Sembrava di essere, come dicono gli inglesi, in the middle of nowhere. Un nowhere, però, con punto di ristoro e gatti affettuosi a darci il benvenuto. Tra gli alberi eccolo, immancabile: il nostro jidōhanbaiki.
Nelle vicinanze, un tempio shintō, il Kuzuharagaoka Jinja. All'inizio del viale d'accesso, uno spazio recintato di pochi metri quadri, che ospitava alcune rocce antiche. Frammenti di ceramica in terra. A portata di mano una pila di piattini, con un cartello che incoraggiava a servirsene per romperli contro le rocce. Gesto che avrebbe scacciato gli spiriti maligni.
Dopo rottura di piattini e visita al tempio, riprendiamo la via. Prima di lasciare la radura, guardo l'orizzonte e lì mi appare: stagliato in un cielo limpidissimo, galleggiando sulla foschia, il cono perfetto del monte Fuji in lontananza. Una visione di tale purezza e perfezione da sembrare finta, un miraggio. Non sorprende che sia oggetto di adorazione.
(foto di Alessandra Corda)